Il ritorno

Era passato più di un mese dal giorno della nostra liberazione e non si parlava nemmeno del nostro rientro a casa. Le ferrovie non funzionavano, i ponti erano saltati: praticamente tutta la Germania era distrutta. C'era solo una possibilità: rientrare a piedi in Italia. Ci fu qualcuno, più impulsivo, che affrontò questo grosso rischio, ma a me e alla maggioranza sembrava invece una pazzia attraversare a quel modo la Germania nel caos. Mi dicevo: ci hanno portato in treno ed in treno devo rientrare, a costo di attendere mesi per il rientro. E fu proprio così perché partimmo per l'Italia ai primi di settembre.
Nell'attesa ero ingrassato perché non si faceva adesso nient'altro che mangiare, dormire: e durante la giornata grandi partite a carte. Nel mese di giugno venimmo a sapere che l'aviazione americana aveva sganciato la bomba atomica su un'isola del Giappone e che il Giappone s'era arreso. Non sapevamo però che diavolo fosse la bomba atomica e quanta distruzione portasse. Ai primi di settembre, come ho già detto, partimmo in treno per l'Italia.


In carri-merci, ma questa volta aperti e con tutto lo spazio per sdraiarci. Impiegammo ben quattro giorni per arrivare a Innsbruck in Austria. La marcia del treno era lentissima; specie sui ponti, sostituiti da prefabbricati americani andavamo a passo d'uomo, e in parecchie stazioni restavamo in sosta per ore e ore. Dovunque vedevamo case distrutte e interi paesi bruciati. La città che più mi impressionò fu Norimberga, tutta una maceria. Solo alla sera del quarto giorno arrivammo a Innsbruck. Presso la stazione avevano creato un campo di raccolta, e la notte la passammo in quelle baracche. Al mattino ci fecero fare la doccia, mentre i nostri vestiti e i prosacchi furono passati nei forni per la disinfestazione: li ritrovammo a doccia finita.