Vita nel campo

Un giorno il mio amico Fausto Festini (compaesano di Borgo Sacco, rione di Rovereto) mi informò, dato che lui faceva l'imbianchino nel campo ed aveva l'opportunità di andare in paese, di aver adocchiato vicino ad un ospedale dei mucchi che certamente erano di patate. In Germania (l'ho saputo dopo) per conservare le patate ne fanno dei mucchi a piramide, ricoprendoli con paglia e terra, mentre alla sommità mettono un tubo come sfiatatoio. Pensammo che di notte si poteva andarle a rubare. A come si potesse riuscire a rubarle, noi pensammo per parecchi giorni. La decisione fu che io mi procurassi in cantiere una pinza, un cacciavite e della corda.
Con la pinza Festini avrebbe dovuto tagliare il filo spinato e nello stesso tempo riagganciarlo, allorché dipingeva i paletti di sostegno del filo spinato. Il cacciavite serviva per sbloccare il soffitto della camerata ed una finestrella in alto; la corda, invece, per calarci dall'alto della baracca. Ci volle circa un mese per essere pronti.
In quel periodo tutte le sere controllavo dalla finestra i movimenti delle guardie. Così capii che dopo mezzanotte la sorveglianza era molto rallentata e che le guardie uscivano per i controllo ogni quindici minuti. In cantiere mi procurai il necessario. Al rientro al campo venivamo sempre perquisiti, ma avevamo la possibilità di portare della legna per scaldarci.
In mezzo alla legna nascosi prima il cacciavite, poi la pinza e la corda. Decidemmo una sera. A mezzanotte passata uscimmmo, ed in dieci minuti fummo all'esterno del campo. Certo che per arrivare vicino ai mucchi di patate dovemmo saltare dei fossi pieni d'acqua ed attraversare dei campi, ma tutto riuscì facile nell'andata.
Riempimmo il prosacco di patate, cercammo di chiudere i buchi che avevamo fatto e tornammo indietro. Il peso del prosacco nel saltare i fossati mi rimbalzava sulla nuca facendomi male, ma tenni duro. Arrivati vicino al reticolato attendemmo il giro di controllo della guardia, ed al loro rientro con fatica ritornammo in camerata. Questa nostra impresa durò circa due ore.
Ci addormentammo stanchi e la sveglia del mattino fu una cosa tremenda. Per tutto il giorno pensai che al mio ritorno avrei trovato le patate già cotte dal mio amico Fausto che aveva tutto il tempo per lessarle sulla stufa della camerata. In effetti alla sera feci una abbuffata di patate, non senza distribuirne ai miei compagni. Con Fausto uscivamo una volta alla settimana, e questo per oltre un mese. Una sera al rientro Fausto mi avvisò che i tedeschi si erano accorti del filo spinato tagliato e così ebbero fine le nostre uscite e le nostre abbuffate. La domenica era l'unico giorno di riposo, al mattino quel fetente del comandante ci radunava nel cortile, ci chiedeva se volevamo firmare per tornare in Italia, poi al nostro rifiuto ci faceva marciare a passo romano per circa un'ora. Era anche la giornata dedicata alla pulizie personali e allo spidocchiamento degli indumenti. I tedeschi distribuivano una lettera speciale che ci permetteva di scrivere una volta al mese a casa, con allegato ad essa un “buono” affinché i nostri famigliari ci potessero inviare un pacco con indumenti e generi alimentari. Passò il Natale e l'inizio dell'anno 1944 molto malinconicamente; i nostri discorsi cadevano sempre su come nel passato avevamo trascorso le feste natalizie in famiglia, elencando i vari menù. Tra noi c'era anche chi era sposato ed aveva dei figli.
Il rapporto con i militari era pessimo; né migliore tuttavia era quello con i civili. Sia gli uni che gli altri coglievano ogni pretesto per darci addosso. Io non mi ero mai fatto capire di conoscere il tedesco, sia al campo che in cantiere, temendo che avrebbero preteso che facessi da interprete ai miei compagni di lavoro. Non capire il tedesco serviva inoltre a rallentare il lavoro; se mi chiedevano un badile, ad esempio portavo un picco, ecc; pur se questo gioco veniva ripagato con pedate e ceffoni da parte dei civili tedeschi. Noi avevamo un interprete, era un alto-atesino; ma in cantiere non veniva, restava sempre al campo. Di certo non era un nostro sostenitore, non l'ho mai sentito prendere le nostre difese, anche se capivo che non era molto facile.
Le incursioni degli aerei americani e inglesi erano sempre più frequenti di notte ed in distanza si sentivano gli scoppi delle bombe. Il nostro campo era tra due grandi città: Hannover e Braunschweig.