Nostalgie, fame, ricordi

A gennaio arrivarono le prime lettere e quasi tutti avemmo notizie dei nostri famigliari, insieme ai primi pacchi, con nostra grande gioia. Le notizie che ebbi dai miei erano fortunatamente buone. Il primo pacco lo ricevetti ai primi di marzo, ed è stato quello un giorno di festa. Finalmente potevo mangiare qualche cosa di diverso in qualità e quantità. Nel pacco, oltre a pane secco, scatolette di carne ed altro, c'era un sacchetto di farina di granoturco. Preparai la polenta con grande gioia mia e dei miei amici. Ormai si era instaurata una consuetudine; chi riceveva il pacco dall'Italia divideva qualche cosa con gli amici. A mancarci era anche il sole. Quante volte nelle nostre conversazioni lo ricordavamo con tanta nostalgia. In Germania il clima era pessimo. Nello spazio di una giornata era capace di piovere e di nevicare due o tre volte a seconda della stagione; in due anni m'è accaduto raramente di vedere un'intera giornata di sole, e questo ci aumentava la malinconia.
In cantiere, nel frattempo, avvenne un fatto che mi rattristò parecchio. Alla mezz'ora di riposo del mezzogiorno noi arrivavamo con una fame morbosa. Nel cantiere c'erano delle “baracche-cucine” dove i cuochi preparavano i pasti per i civili tedeschi e alcuni collaborazionisti polacchi. Abitualmente gettavano le bucce di patate in bidoni all'esterno delle baracche. A noi era proibito avvicinarci. V'era del filo spinato che delimitava le baracche dal cantiere, ma spesso riuscivamo a passare e riempivamo le tasche ed il cappello d'alpino di queste scorze. Io rischiavo tutti i giorni pur di calmare un po' la fame. Un giorno, era il mese di di marzo, venne con me un mio compagno di Folgaria, si chiamava Renato Cappelletti. Purtroppo alcuni militari tedeschi ci videro; io riuscii a scappare, lui rimase impigliato nel filo spinato. Seppi poi che morì a seguito delle botte ricevute. Questa notizia la ebbi alla sera, al rientro dal campo, e ne fui sconvolto.
I soldati tedeschi per tutto il pomeriggio indagarono poi nel cantiere per scoprire l'altro italiano che era fuggito. Per non farmi riconoscere scambiai il cappello d'alpino con la bustina di un amico fante, così che riuscii a non essere riconosciuto.
Vedi il caso: avendo acquistato due decenni or sono un appartamento a Costa di Folgaria, mi riprese vivo il ricordo del povero Renato. Col macellaio di Folgaria, lui pure di nome Cappelletti, nel frattempo avevo fatto amicizia; per più anni comunque non ho avuto il coraggio di chiedergli se avesse un parente morto in campo di concentramento in Germania. Finché un giorno con tatto glielo chiesi. La risposta fu negativa, ma volle sapere il perché della mia domanda. Gli raccontai cosa era successo al povero Cappelletti nel campo di lavoro. Gentilmente mi mise allora subito in contatto col fratello del mio compagno d'internamento, al quale con commozione raccontai quanto io sapevo; egli mi chiese a sua volta se non avessi ritrovato in paese l'Elio Port, anche lui di Folgaria, che era stato con noi nei campi in Germania. Immediatamente mi venne in mente l'Elio Port e così gli chiesi se mi poteva accompagnare a casa sua perché desideravo rivederlo. Mi accompagnò e quando vidi il Port pur dopo tanti anni lo riconobbi subito e lo abbracciai con la gioia di aver ritrovato un compagno di prigionia. Mi seppe ricordare, per altro, la denominazione del primo campo di lavoro che non ricordavo (Campo 6008 in località Hiltherode) e la dislocazione del cantiere ove trovò la morte il mio sfortunato compagno (Ruespringhe).
Ora ci vediamo spesso sia d'estate che d'inverno ed a volte ricordiamo quei brutti momenti, ma cerchiamo di parlarne il meno possibile.