Gli Alleati avanzano

Il compagno che alloggiava sopra di me nel letto a castello si chiamava Scognamillo (napoletano). Un bravo ragazzo sempre scherzoso e sorridente, e per me aveva una predilezione. Con lui rimasi assieme fino al ritorno in Italia.
Alla domenica portavamo fuori in cortile i letti a castello e li smontavamo perché eravamo invasi dalle cimici.
Accendevamo un fuoco, le parti staccate del letto (soprattutto gli incastri) li abbrustolivamo, e si sentiva lo scoppiettio delle cimici che arrostivano. Una mattina mi svegliai con tutta la bocca storta; andai dall'infermiere di Rimini e mi disse subito che dovevo curarmi con delle vitamine.
Riuscii a procurarmele e in capo ad un mese tornai normale.
Nel campo c'era molta libertà, il caporale tedesco era come non ci fosse: non chiudeva il cancello neanche di notte ed al mattino non ci contava più. Si fidava di noi e ci conosceva bene un po' tutti. Era un buon uomo.


Un giorno verso sera, dopo il lavoro, vennero due fascisti italiani in borghese, a chiederci se volevamo tornare in Italia e arruolarci nella repubblica di Salò; al nostro rifiuto ci proposero, in alternativa, la possibilità di venir equiparati a lavoratori civili, purché firmassimo un modulo di adesione. Tutti rispondemmo che eravamo internati e che tali volevamo rimanere. I due se ne andarono senza discussioni, pur se molto contrariati. Era il mese di settembre. Il caporale tedesco ci disse che avevamo fatto bene a non firmare, perché di certo ci avrebbero cambiato lavoro. Una mattina il buonuomo ci venne a salutare. Era stato purtroppo richiamato al fronte russo, ed era molto depresso.


Le lettere da casa le ricevevamo con una certa regolarità e le notizie che arrivavano dall'Italia erano confortanti.
Purtroppo lo Scognamillo non riceveva notizie dai suoi. A volte discutevamo di politica, ma giudicavamo solo il passato, perché la maggior parte di noi era nata nel periodo fascista e non avevamo allora un ideale politico. Ci sentivamo antifascisti, questo sì, eravamo contro la guerra ed addossavamo al fascismo di Mussolini la responsabilità di tutto quanto era accaduto. Con noi c'era a quel tempo un piemontese di una certa età, arrivato chissà come al nostro campo. Raccontava di essere fuggito dall'Italia perché socialista; tedeschi e fascisti lo cercavano. Questo piemontese, spesso alla sera ci spiegava qual'era l'ideologia socialista. Noi giovani eravamo molto interessati e gli facevamo parecchie domande, volevamo capire il valore della parola “libertà”.
L'inverno dell'anno 1944 era alla fine. Il lavoro in fabbrica, sempre quello. Dal mio amico tedesco sapevo che la Wehrmacht era in ritirata su tutti i fronti. Non vedevamo l'ora di essere liberati.
A marzo un giorno andammo in cantiere e ci informarono che la fabbrica rimaneva chiusa per mancanza di materiale.
Oramai la fine era nell'aria.